Il web non può e non deve essere considerato una “zona franca” del diritto, bensì come uno degli ambiti nei quali l’individuo esprime e sviluppa la sua personalità. Necessita così di una disciplina idonea ad attuare le tutele previste dall’ordinamento.

WebLeagalAid vuole focalizzare la propria attenzione ai reati di tipo “tradizionale”, ma compiuti attraverso le nuove tecnologie: internet e Facebook, in particolare, si sono trasformati nella nuova piazza per delinquere, avvantaggiati da una comune (e falsa) convinzione di non punibilità o di difficile perseguibilità dei reati a mezzo web.

Così non è: l’enorme mole di sentenze che i tribunali stanno producendo in questo periodo ne è testimonianza.

I social network, sono entrati ormai a far parte della vita della popolazione, la quale attraverso questi canali può condividere in rete opinioni, immagini, video, contenuti multimediali e notizie legate alla propria sfera prettamente privata.

La loro enorme diffusione, con il passare del tempo, ha reso questi canali suscettibili ad essere trasformati in mezzo per commettere reati penali, diventando così veicolo di molestie o minacce, le quali configurano di per loro un reato e qualora divengano assillanti, persecutorie e ripetute, arrivano a concretizzarsi nel comportamento illecito che si configura nello stalking (da “to stalk”, procedere furtivamente, ad indicare figurativamente il cacciatore che attende in agguato la preda).

Attraverso il proprio profilo social i soggetti sono raggiungibili in modo immediato, e possono essere perseguitati con ripetuti messaggi, con ingiurie, con minacce e finanche subire il reato di diffamazione, dal momento che il mezzo telematico può raggiungere un numero esponenziali di altri utenti iscritti al canale social media.

Attraverso i servizi di geolocalizzazione offerti dai “social”, inoltre, la vittima, postando con il servizio attivato, corre il rischio di rendersi rintracciabile e monitorabile mostrando la propria posizione a chi non desidera o quando non lo desidera.

Procediamo, dunque, ad esaminare singolarmente tutte le principali ipotesi di reato “telematico”.

Il reato più diffuso sui social network è la diffamazione.

Facebook viene ritenuto come un “luogo aperto al pubblico”, conformemente al detto comune secondo cui i social network sono le nuove piazze. Una dichiarazione scritta su social network viene così ad equipararsi del tutto a quanto scritto sulla carta stampata da un giornalista.

I casi più frequenti esaminati dai giudici riguardano Facebook, ma i medesimi principi valgono anche per Twitter, Linkedin, ecc.

In questi casi, alla vittima è riservata la possibilità di agire penalmente nei confronti del colpevole, e richiedergli poi, in via civile, il risarcimento del danno.

Infatti accertato il reato e il diritto per la vittima del reato all’indennizzo in sede penale, la quantificazione dell’ammontare viene rimessa al giudice civile.
Attenti ai like sui post offensivi o discriminatori.
I giudici riconoscono valore anche alla condotta di chi clicca “mi piace” ai commenti altrui.

Nel 2016 sono scattati i primi rinvii a giudizio per “concorso in diffamazione aggravata”, i quali valutano che l’addebito offensivo alla reputazione della vittima del reato aumenta in proporzione agli utenti che apprezzano i post denigratori.

Attenzione alla pubblicazione di una notizia non aggiornata, la quale, ad esempio, se riguarda l’inquisizione o l’incarcerazione di un soggetto senza l’eventuale menzione della sentenza di assoluzione, può configurare il reato di diffamazione e il conseguente obbligo al risarcimento del danno. Questa condotta, infatti, lede la reputazione del soggetto interessato.

La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata.

L’onore consiste nel sentimento che il soggetto ha di sé e del proprio valore; la reputazione, invece, nel sentimento che di tale soggetto ha la collettività.

L’onore, tutelato dalla fattispecie dell’ingiuria, può essere leso solo in caso di offese rese in presenza del destinatario; la reputazione, tutelata dalla fattispecie della diffamazione, solo in caso di offese fatte in presenza di altri.

Gli atti lesivi devono essere diretti alla persona offesa, questo vale ogni qual volta il destinatario dell’offesa possa prendere visione dell’espressione che si concretizza nella calunnia. Non vi sono dubbi che ciò accada allorché il messaggio sia veicolato da posta elettronica all’indirizzo del destinatario. Più problematica risulta l’ipotesi in cui l’offesa sia veicolata attraverso un mezzo che raggiunge più persone contemporaneamente (newsgroup, mailing list, siti web).

In questi casi, si ritiene non si integri il delitto di ingiuria, bensì quello di diffamazione aggravata.

Il reato di stalking viene a configurarsi, a differenza delle semplici molestie, ingiurie, diffamazioni o minacce, quando i comportamenti messi in atto dal soggetto persecutore sono tali da costringere la vittima del reato a modificare, per timore, il proprio stile di vita o le proprie abitudini.

Se i messaggi, sia quelli pubblicati in bacheca/diario sia quelli privati, sono costanti, continui ed in grado di turbare la vita della vittima, questi difficilmente potrà sfuggire a una condanna che, nei casi più gravi, può arrivare fino alla durata di quattro anni.

Lo stalker è all’ossessiva ricerca della conoscenza e del controllo della vita della vittima del reato, provando un impulso irrefrenabile all’intrusione nella sua sfera privata.

Il mezzo più immediato per realizzare questa condotta, oggigiorno, è diventato senza dubbio il social network.

Si commette il reato di minaccia con ogni manifestazione esterna a mezzo della quale, a fine intimidatorio, venga rappresentato ad un soggetto il pericolo di un male ingiusto che, in un futuro più o meno prossimo, possa essergli causato dal colpevole, o da altri per lui, nella persona o nel patrimonio.

Se si prospetta un qualcosa di assolutamente generico, occorre che il contesto della vicenda e i rapporti tra le parti, e cioè la situazione di fatto, del momento, rendano evidente l’ingiustizia del danno futuro che viene prospettato. Si può commettere il reato di minaccia con ogni mezzo e con ogni comportamento. E’ necessario però che essi siano idonei a suscitare, in chi li subisce, il timore o la preoccupazione di dover sopportare o soffrire un male ingiusto. Non è indispensabile quindi che la persona destinataria resti effettivamente intimidita.

Non occorre che la minaccia sia rivolta direttamente dall’autore del reato alla vittima. E’ solo necessario che questa ne sia venuta a conoscenza anche tramite altre persone.

La gravità della minaccia non dipende unicamente dalla gravità del danno minacciato, ma va accertata con riferimento all’entità del turbamento psichico causato alla vittima. L’impossibilità di realizzare il male minacciato esclude il reato solamente qualora si tratti di impossibilità assoluta, non anche quando la minaccia sia comunque idonea a generare un timore nel soggetto passivo e ad incidere sulla sua libertà morale.

Il reato si configura quando l’autore costringe qualcuno, usando la violenza o le minacce, a fare qualcosa, o a non farla, al solo fine di ottenere per sé o per un’altra persona un vantaggio, un “guadagno” che non era dovuto. Oltre a questo ingiusto profitto per l’estorsore, dovrà sussistere evidentemente anche un danno per la vittima. La particolarità di questo tipo di delitto consiste nel mettere la persona “violentata” o minacciata in condizioni di tale soggezione e dipendenza da non consentirle sostanzialmente di avere alternative “migliori” rispetto a quanto “richiestole” con la forza.

Il potere di autodeterminazione della vittima non è del tutto annullato, ma è limitato in maniera considerevole; il soggetto passivo si trova cioè nell’alternativa di far conseguire all’autore del reato il vantaggio ingiusto o di subire il danno di cui è stato minacciato. Chi estorce, deve farlo infatti per ottenere un profitto a cui non ha diritto; e, facendo questo, deve arrecare allo stesso tempo un danno a qualcun altro.

Un tema che molto spesso viene sottovalutato dagli user dei social network riguarda la necessità di autorizzazione in merito alla pubblicazione delle immagini o altri contenuti visivi.

E’ infatti illecito pubblicare foto senza previa autorizzazione del/dei soggetto/i ritratto/i. Questo limite vige anche sui rappresentanti del proprio nucleo familiare, senza eccezione alcuna.

Lo stesso vale per quanto riguarda un tag apposto su di un’immagine offensiva (si pensi al tag su una foto a sfondo sessuale, con contenuto lesivo dell’altrui reputazione o di odio razziale).
In caso venga perpetrata questo tipo di violazione, il tribunale avrà la possibilità di ordinare la rimozione coattiva con un ricorso in via d’urgenza.

La condotta dell’utente che si registra ad un social network ed agisce su di esso con un profilo falso, utilizzando fotografie o informazioni personali non proprie, integra il grave reato di sostituzione di persona.
Il dolo specifico che caratterizza questo reato si concretizza nel danno arrecato alla persona cui si è sottratta l’identità.

Ugualmente il danno può essere causato a chi viene indotto in errore e si relaziona con il gestore del falso profilo convinto di relazionarsi con la persona la cui identità è stata sottratta.

E’ suscettibile di condanna penale chi compie furto di identità impossessandosi dei dati di accesso, del controllo o dei dati riservati e non pubblici, appartenenti al profilo social media altrui.

L’eventuale accesso abusivo all’account di posta elettronica o al profilo social deve essere dimostrato dalla vittima del reato con prove tracciabili e documentate.

Divulgare in una conversazione via chat o via e-mail il numero di cellulare altrui configura il reato di trattamento illecito dei dati personali.

Lo stesso riguarda altri dati sensibili e legati alla sfera personale/privata del soggetto, come l’indirizzo del suo domicilio, quello della sua sede lavorativa, così come qualsiasi altro recapito che non sia stato il soggetto stesso a rendere a sua volta pubblico o manifesto.

Qualora la vittima del reato arrivi a provare che tale divulgazione ha compromesso la sua serenità, la sua salute o la sua incolumità, la possibilità di ottenere un cospicuo risarcimento per il danno ricevuto diventa molto alta.

La condotta di chi pubblica dialoghi intercorsi in privato, in una conversazione tra due individui e riservata solamente alla loro conoscenza, viola il principio costituzionale della segretezza della corrispondenza.

Questo vale per l’intera conversazione come per parti di essa. La violazione sussiste sia nel caso in cui, come più chiaro, una conversazione privata venga resa pubblica a più utenti della rete (ad esempio tramite condivisione social su pagine, bacheche o gruppi), sia nel caso in cui la conversazione venga diffusa per posta privata con terzi.